Le preghiere di Carlo

Il nonno Carlo di Regascino. Non mi si scolla dalla mente la sua faccia in una foto ingrandita e appesa nel locale che la mia famiglia ha battezzato con un nome che non richiamasse il passato, ma la gioia: “il salone delle feste”.

Quell’immagine in bianco e nero tanto preziosa ritrae un momento più unico che raro: la famiglia – e non solo – riunita nel cortile intorno a una grande tavolata per la rimozione dei bachi da seta dai vari rami di gelso. I miei antenati facevano anche quello.

Dai bambini agli anziani, in tenuta estiva e con il sole sulla pelle. Alcuni intenti al lavoro, altri che fissano sorridenti chi scattava la foto e altri ancora che si lanciano occhiate tra loro. È chiaro che i bambini non stavano fermi un secondo neanche allora e che l’umore era vivace. L’atmosfera è talmente semplice e spontanea che la gente nel quadretto non sembra così lontana nello spazio.

Il nonno Carlo – il papà di mia nonna – è uno dei pochi in piedi e ha proprio l’aria del capo, non solo del padre. Aveva perso la moglie pochi anni prima, nel 1929, quando lei in un giorno di dicembre era andata al fiume a lavare i panni. Aveva 50 anni e mia nonna solo 10. Nell’ingrandimento Carlo sarà stato sulla sessantina ed è palese a tutti gli sguardi che in quella giornata non c’era posto per la tristezza. Tutti facevano lavorare le mani e sembra un momento lieto tra scherzi, chiacchiere e volti amici.

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Con gli anni la vista di quest’uomo che aveva messo al mondo sette figli (di cui io ho avuto l’onore di conoscere il primo, la terzultima e l’ultima) si era indebolita a tal punto da permettere alla zia Paolina, una sorella di mia nonna, non solo di sgattaiolare a una festa di paese, ma di essere addirittura alla stessa festa di suo padre, a ballare nello stesso locale, al ritmo della stessa musica. Era stato un “socio” di Carlo a fare la spia.

Recentemente la Rosangela, una figlia del maggiore dei figli di Carlo, ha portato alla mente un altro ricordo del mio bisnonno. A quanto pare era una persona devota e non mancava di sollecitare i suoi alla preghiera. Ci teneva infatti che dopo cena i suoi figli non si disperdessero “di qua, di là o ognuno nelle proprie stanze” di quel casolare che se fosse in centro paese oggi sarebbe un albergo con ristorante o una casa di cura. Carlo voleva che tutti si riunissero nel piano di sopra per curare per qualche minuto anche l’aspetto spirituale della vita.

Quel casolare fa sempre più vergogna con il passare del tempo. Tutto il suo splendore di una volta, tutta la sua prosperità, la fiaba e le antiche storie di amori che nascevano e portavano frutto sono passati in mano ad altri, e non l’anno amato.

Proprio come quando il popolo di Dio aveva messo il Suo Creatore in secondo piano ed era stato deportato, derubato, spogliato di tutta la sua bellezza. Oggi quella grande casa a forma di lettera “C” è piena di erbacce diventate alberi che nascondono vipere e scritte sui muri, muri di quelli che erano locali color pastello con caminetto all’angolo. Fa più o meno la stessa impressione del Titanic sott’acqua.

Sono passate generazioni e la fede è stata conservata a malapena. Mia nonna che guarda una messa dopo l’altra, mia zia che decide di farsi suora. Anche la mia vita cambia quando incontro Gesù. Oggi mi guardo attorno e capisco che abbiamo ben poco che possa piacere a Dio, ben poco che lo faccia sorridere. Ma so che il Dio degli eserciti è fedele. La Sua bontà dura in eterno per amore del Suo nome, non per noi. E so che a tutto c’è un motivo, anche se il mondo intero mi dice quotidianamente il contrario.

Io aspetto la Sua salvezza. Nella mia vita. Nella mia casa. Nel mio popolo.

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Per amore del mio nome io rinvierò la mia ira,
e per amor della mia gloria io mi freno
per non sterminarti.
Isaia 48.9

Per amore del tuo nome, o SIGNORE,
perdona la mia iniquità perchè essa è grande.
Salmo 25.11

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